Condizione Umana
Il postumanismo non vuole inaugurare una nuova dimensione di umanità, il post-umano non va alla ricerca di un “uomo che verrà”, ma vuole ripercorrere i processi che hanno condotto a una certa interpretazione della condizione umana superando la concezione umanista. Secondo quanto espresso dal pensiero postumanista l’uomo non deve essere colto in termini essenzialistici né come un qualcosa di opposto alla realtà che lo circonda. Egli infatti è un organismo aperto, permeabile, che ha forgiato – attraverso il suo percorso evolutivo – la propria identità non in maniera autonoma, ma ibridandosi con il restante. Non è possibile quindi riconoscere una certa identità definitiva e stabile – essenza – giacché ogni identità si gioca costantemente nell’intreccio di relazioni che si intessono con la realtà.
La condizione umana che nella tradizione umanista si identifica con l’atto razionale – il pensiero, la ragione, il logos – diviene nel postumanismo una dimensione relazionale giacché è nella relazione che trova la propria espressione.
L’umano non crea la propria identità per mezzo di un atto culturale in opposizione a una dimensione naturale bensì è colui che a partire da delle condizioni naturali proprie – filogenetiche – esprime la propria dimensione identitaria e culturale in un atto di contaminazione e ibridazione con il mondo. L’apparato culturale non deve essere considerato un potenziamento bensì una forma di dipendenza ontologica nei confronti della realtà. La realizzazione della condizione umana, quindi, non avviene iuxta propria principia, ma attraverso la creazione di relazioni con il mondo in grado di generare predicati prima avulsi. L’essere umano, utilizzando un esempio di Roberto Marchesini, può concepire il predicato del volo solo perché ha visto gli uccelli volare.
Ecco dunque che da una concezione introflessiva, autonoma e impermeabile, offerta dall’umanismo, si inaugura, con il pensiero postumanista, una nuova consapevolezza della dimensione umana come condizione aperta, ibrida, simbiotica.
L’essere umano non funge più da sintetizzatore della realtà attraverso un’azione omnicomprensiva in grado di eliminare tutte le differenze, ma diventa un paesaggio di soglia, terreno aperto al mondo in cui le molteplicità non si riassumono nell’essenza stentorea dell’identità del soggetto, bensì popolano la sua identità attraverso la plurivocità di predicati in costante mutamento. Analizzando quindi la condizione umana a partire da una prospettiva ibrida e contaminativa non si può “diventare postumani” giacché lo si è sempre stati.