Bioetica e alterità
Per molti anni, fino all’epoca più recente, si è discusso circa il concetto di animale: era egli un soggetto o un oggetto e se soggetto era da intendersi in che modo: soggetto cosciente o meno?
Queste domande hanno tenuto banco, e ancora sono oggetto di grandi esplorazioni da parte del pensiero dell’etica e della bioetica contemporanea e questo per il fatto che la filosofia si è difficilmente coordinata con le rilevazioni scientifiche attuali.
È stato dimostrato che tutti gli animali sono in grado di provare emozioni e che non è la coscienza ad essere il perno intorno al quale fondare il concetto di soggettività, ma che la coscienza è altrimenti uno dei possibili attributi della soggettività (R. Marchesini, Etologia animale. Alla ricerca della soggettività animale).
Da un punto di vista etico – seguendo la linea tracciata dalla scienza – è del tutto obsoleto domandarsi se un animale non umano sia un soggetto o un oggetto morale. Ogni animale dotato di vita (interazione con la realtà, apporto di modifiche sulla realtà, capacità di provare emozioni, dotazione del sistema mente e coscienza) è a tutti gli effetti un soggetto.
Gli elementi elencati tra parentesi non devono essere tutti presenti perché si esibisca dinanzi a noi un soggetto, ma ne è sufficiente uno solo affinché sia possibile parlare di soggettività (R. Marchesini, The Creative Animals) e non vi è un ordine verticale di importanza: ogni specie può presentare forme di soggettività differenti, ma non vi è una specie che è “più soggetto” di un’altra.
Per comprendere meglio ciò che si è esposto: una pietra (non-soggetto) si fa trascinare dalla corrente, mentre un salmone (soggetto) risale la corrente. Il salmone è capace di avere un grado di agibilità sul mondo (un sé) e una certa qual forma di espressione propria sulla realtà (un per sé) ciò è più che sufficiente a renderlo soggetto. Una pietra subisce l’incessante trascorrere delle cose senza poter agire su esse (avere un sé) e poter esprimersi circa esse (avere un per sé).
Seguendo questo ragionamento i soggetti morali si moltiplicano a vista d’occhio e la questione etica si complica e non poco. Questa è la sfida che si pone il post-umanismo: quella di interagire con il maggior numero di soggetti morali per poter pensare a un’etica che si adegui alle molteplici e ancora indefinite espressioni della vita.
Sono proprio queste plurivocità esistenziali il polo attorno al quale si fonda il pensiero del postumanismo che vede nell’alterità e nel dialogo il luogo di fondazione e di creazione di ogni identità. Il post-umanismo ci pone dinanzi a una sconcertante realtà: non siamo soli. Il nostro non è l’unico modo di leggere la vita, ma uno dei tanti, forse neppure il più complesso.
Per riuscire ad affrontare le sfide (anche etiche) che il mondo ci pone innanzi – a partire dall’intelligenza artificiale – è necessario imparare a sviluppare capacità che ci connettano con le diversità, che ci rendano capaci di misurarci con modi di inquadrare il mondo per noi e per le nostre menti prima del tutto inusitati, come l’intelligenza a sciame di un nido di vespe.
Per questo l’alterità è l’unico luogo in cui fondare un’etica dell’empatia e in cui poter proseguire il nostro cammino dell’esistenza come specie.