Tra Cataclismi e Adattabilità
Nel considerare le possibilità delle comunità multispecie postumane, desidero spostare la nostra attenzione da creature maestose come il cervo, il leone o l’orso, così come dagli animali domestici familiari. Preferisco entrare in dialogo su una specie spesso accolta con apprensione: lo scarafaggio. La resistenza degli scarafaggi attraverso eventi di estinzione di massa, come quelli che segnano la conclusione del periodo del Permiano e dell’era del Paleozoico circa 245 milioni di anni fa, sottolinea l’affascinante storia evolutiva di questi insetti. Appena il cinque percento delle specie ha sopravvissuto a questi due cataclismi, facendo dello scarafaggio una specie che a lungo ha accompagnato la vita sulla Terra. Le epoche successive hanno riconfermato la tenacia dello scarafaggio nel sopravvivere a estinzioni, comprese quelle del tardo Triassico (208 milioni di anni fa), Giurassico (144 milioni di anni fa), l’evento ‘K-T’ dei dinosauri, il tardo Eocene (37 milioni di anni fa) e il Pleistocene (circa 10.000 anni fa). Sebbene i dati sulla distribuzione delle specie lo smentiscano, gli scarafaggi sono diventati nel nostro immaginario una specie strettamente legata agli ambienti urbani moderni. Tuttavia, sappiamo che diverse specie di scarafaggi sono legate a habitat specifici, che vanno dall’interno del bambù alle zone umide al di sotto delle cascate, ai nidi di formiche e termiti, alle grotte dei pipistrelli, alle tane di animali (compresi quelle umane!) e persino alle miniere. Globalmente, esistono circa 4.500 specie di scarafaggi, molte delle quali in pericolo di estinzione. Nonostante il gran numero di queste specie, solamente 26 di esse sono incluse nell’elenco IUCN e per nessuna di loro se ne conoscono le dinamiche di popolazione. Gli artropodi attualmente costituiscono oltre il novanta percento delle specie animali esistenti. Ignorare la narrazione storica di queste specie perpetua una visione ristretta della vita planetaria, favorendo l’erronea idea che l’evoluzione si sviluppi invariabilmente lungo una traiettoria predeterminata che culmina nella vita umana. Un’analisi approfondita della cronaca degli scarafaggi sarebbe affascinante e la loro testimonianza offrirebbe un punto di vista unico, fornendo preziose intuizioni sulle comunità multispecie di cui sono stati parte. Oltre ad aver associato questi animali alla sola città, essi sono anche ritenuti sporchi. Gli scarafaggi non sono però intrinsecamente sporchi, ma possono diffondere germi in un ambiente già contaminato. Le allergie o le malattie associate agli scarafaggi derivano dalla loro residenza in ambienti inquinati. Come decompositori naturali, essi contribuiscono alla fertilizzazione del suolo e al riciclo di foglie morte e rifiuti verdi, estendendo la loro rilevanza ecologica persino nei paesaggi urbani. Riconoscere il loro ruolo poliedrico nella gestione dei rifiuti invita a riflettere sulla vita che questi insetti conducono negli ecosistemi dominati dall’uomo, vita che, dal nostro sguardo antropocentrico, viene ridotta violentemente al ruolo di “peste”.
Esistenze ai margini
Una ricognizione critica nella storia della tassonomia e delle scienze naturali rivela come l’osservazione e lo studio delle vite, umane e non, sia intrinsecamente legati a giudizi morali, estetici e, più ampiamente, a una prospettiva antropocentrica e gerarchica. La classificazione delle forme di vita spesso si fondava su criteri come l’edibilità, la docilità e l’utilità. Un’altra categorizzazione si focalizzava su giudizi estetici, basati su una valutazione soggettiva dell’appeal visivo. Specie quali scimmie, rane, ratti, rettili, insetti e anfibi risultavano spesso condannate a essere percepite come dotate di un aspetto ridicolo e ripugnante. La repulsione verso rettili, insetti e anfibi raggiunse un culmine significativo alla fine del XVIII secolo e ancora oggi specie in grado di evocare repulsione o carenti di “carisma” si trovavano frequentemente sottoposte a marginalizzazione, un fenomeno opportunamente denominato “chauvinismo tassonomico”. Questa marginalizzazione si evidenzia sia nelle iniziative di conservazione che nel dibattito pubblico sull’impegno per la biodiversità. Fondamentalmente, essa riflette un pregiudizio secondo cui alcune specie, giudicate poco attraenti o sgradevoli secondo gli standard umani, vengono trascurate o sottovalutate sia negli sforzi volti alla conservazione sia nelle narrazioni più ampie destinate a coinvolgere il pubblico. Tale pregiudizio può generare uno squilibrio nelle priorità di conservazione e ostacolare la comprensione più ampia dei complessi ruoli che queste specie meno carismatiche o repulsive svolgono negli ecosistemi. Prospettive antropologiche contemporanee avanzano l’ipotesi che il diffuso pregiudizio contro creature come gli scarafaggi possa essere attribuito al loro status percepito come estremamente “diverso da noi”, caratterizzato come una “deformità” che provoca disgusto e apprensione. Questa inclinazione trova ancora riscontro storico nel movimento romantico del XIX secolo, nonostante la sua generale difesa del mondo naturale. I romantici, pur elogiando la natura, la concepivano ancora come uno specchio dell’umore e delle emozioni umane. In contrasto con l’ammirazione riservata a scarabei e farfalle per la loro vibrante diversità di forme e colori, lo studio degli scarafaggi è storicamente alimentato dall’avversione umana. La maggior parte delle ricerche dedicate agli scarafaggi è stata orientata allo sviluppo di metodologie più efficaci per la loro eliminazione.
Il pregiudizio nei confronti di questi insetti si palesa anche nel linguaggio.
Utilizzare l’appellativo “scarafaggio” per descrivere un individuo comporta il sottinteso di attribuirgli la posizione più bassa nella scala sociale e suggerisce una dispensabilità che ne permette l’eliminazione senza alcun senso di rimorso. Questo linguaggio dispregiativo è spesso rivolto alle minoranze etniche e agli individui provenienti da altre nazioni, raffigurandoli come parassiti da dover gestire ed eradicare. Tali espressioni linguistiche non solo riflettono atteggiamenti discriminatori, ma contribuiscono a rinforzare la marginalizzazione e l’oggettificazione di specifici gruppi sociali, al contempo perpetuando stereotipi e pregiudizi nei confronti degli scarafaggi.
Nelle rappresentazioni letterarie, emergono chiare analogie tra gli esseri umani e gli scarafaggi. Questo tema ricorrente, che affonda le sue radici almeno nella Grecia Classica, evidenzia il ruolo prominente a loro assegnato. Essi non sono solo i protagonisti di narrazioni individuali, ma simboleggiano in modo emblematico le lotte dei vulnerabili, degli oppressi e di coloro relegati ai margini, individui costretti a sopportare sotto la superficie, tra i buchi e le crepe. Nel contesto della letteratura latinoamericana, gli scarafaggi emergono frequentemente come figure simboliche strettamente legate alle esperienze della comunità. In questo contesto, il poeta portoricano Pedro Pietri, nel suo lavoro ‘Suicide Note from a Cockroach in a Low-Income Housing Development’, attribuisce al suo narratore scarafaggio un monologo toccante. Il protagonista riflette sulle difficoltà patite nella sua esistenza povera e marginalizzata, una condizione in cui si ritrovano gli esseri umani confinati nelle slum. L’incontro giornaliero tra i corpi umani e i corpi degli scarafaggi nelle slum risulta in una comprensione della condizione di oggettificazione che unisce le vite umane e non umane, creando un potente dispositivo narrativo e gettando luce sulle lotte condivise indipendentemente dalle specie. Ricordo che lo specismo si trova alla base del processo di deumanizzazione, permettendo l’oggettificazione affrontata dalle minoranze umane. Entrambe le discriminazioni comportano la marginalizzazione di gruppi specifici, concedendo loro una considerazione morale inferiore basata su criteri arbitrari.
Intraprendere un dialogo con lo scarafaggio ci permette inoltre di individuare una risonanza simbolica con l’ecofemminismo e le filosofie postumane.
Scarafaggi ecofemministi
Lo scarafaggio non è soltanto intrecciato, sia materialmente che metaforicamente, con i marginalizzati della società. Esso occupa anche un profondo regno di forze ctonie e vitali, incarnando sia la luce che l’oscurità sfidando le dicotomie occidentali. Gli entomologi culturali hanno osservato che, nella mitologia nativa americana, in particolare quella delle regioni tropicali, gli scarafaggi, insieme ad altri insetti, assumono ruoli spesso cosmologici. Nella tradizione Navajo, per esempio, simboleggiano le origini primordiali della vita. Da un punto di vista biologico e anche mitologico, questi insetti emergono come i nostri antenati e offrono uno sguardo su un mondo quasi dimenticato, una dimensione in cui la nostra connessione con la natura e altre specie trova le sue radici. Nella letteratura moderna, si trova un celebre esempio di scarafaggio nelle “Metamorfosi” di Kafka. Walter Benjamin e il traduttore di Kafka, Jay Neugreshel, tra gli altri, sostengono che Kafka volesse che il suo pubblico percepisse i suoi numerosi personaggi animali, incluso lo scarafaggio, esattamente in quanto tali. Affermano che Kafka avesse l’intenzione di instillare nei suoi lettori una connessione mentale ed empatica verso i personaggi non umani. Accogliere questa interpretazione implica esplorare la storia di Gregor Samsa andando oltre la critica dell’alienazione capitalista. Essa si sviluppa in una contemplazione postumana, un’indagine sulla vita dello scarafaggio stesso e sulla nostra intricata relazione con questo insetto. In un contesto postumano, quale ruolo possono assumere soggetti definiti “parassiti”? Comprendere la presenza degli scarafaggi nelle nostre vite e riconoscere la loro prospettiva nella comunità multispecie richiede un profondo cambio di paradigma. Questa prospettiva sfida la categorizzazione antropocentrica del mondo, che separa i corpi, stabilisce gerarchie e crea “altri” sfruttabili. La narrazione di Gregor si sviluppa nel tessuto del realismo magico, un genere letterario in cui, come afferma Matthew Strecher, “un ambiente altamente dettagliato e realistico è invaso da qualcosa di troppo strano per essere creduto”. Nel pensiero antropocentrico, gli scarafaggi s’introducono come una soglia tra il conosciuto e l’ignoto, tra il reale e il mostruoso, tra il comune e il sotterraneo. Mentre il realismo si rivela come la mera proiezione del nostro limitato punto di vista antropocentrico sul mondo, imprigionandoci in una realtà oggettificata e oggettificante, gli scarafaggi emergono come il pensiero e i corpi dell’altro, sorprendendoci con una frattura che amplia gli orizzonti. Questa frattura non è che un’espansione di esistenze e temporalità, un riconoscimento che puó generare terrore e che in passato avremmo certamente etichettato come “magico”. Gli scarafaggi rappresentano un regno così alieno da resistere all’assimilazione nella nostra comprensione utilitaristica delle altre specie. Mentre gli scarafaggi si muovono attraverso le fessure di un paradigma antropocentrico, non solo lo mettono in discussione, ma intagliano anche territori liminali da queste stesse crepe. Questi spazi trascendono le semplici superfici fisiche; diventano luoghi dove entità non umane e corpi e menti non normabili rivendicano la loro esistenza in presenti e futuri collettivi. In questi spazi gli scarafaggi ci esortano a riconoscere l’inquietante, lo strano e l’indomato come elementi fondamentali che conferiscono alla vita, così come la conosciamo, la sua profonda ricchezza e complessità. Senza questi aspetti il mondo che abitiamo perderebbe l’essenza stessa che lo fa prosperare. Nelle narrazioni ecofemministe, lo scarafaggio emerge come non solo un simbolo di inarrestabile resilienza, ma anche un vettore di energie ctoniche – un ambasciatore proveniente dai regni sotterranei che audacemente sfida il nostro sguardo. L’insetto racchiude l’analisi di Donna Haraway sul Cthulhucene e la sua evocazione di forze profonde, invitandoci ad abbracciare l’autonomia della vita che pulsa sotto la superficie e resiste al nostro controllo. Incorporando il simbolismo dello scarafaggio nell’ambito dell’ecofemminismo e del postumanesimo, abbracciamo con determinazione una prospettiva ecocentrica radicale che riconosce la natura come composta da soggetti e forze intrinsecamente dotate di agency, esistenti indipendentemente dalle nostre preferenze e del racconto umano sulla vita. Nel suo influente lavoro ‘A Cyborg Manifesto’, Haraway abbraccia la figura del cyborg come metafora per superare categorie fisse. Il cyborg è un’entità mostruosa che sfuma le distinzioni tra umano e macchina, natura e cultura. Haraway vede il mostruoso non come qualcosa da temere, ma come un potente simbolo di resistenza e sovversione. Il cyborg, come figura mostruosa, disturba le nozioni convenzionali di identità e sfida le strutture oppressive. Esso diventa un simbolo di potenziamento e liberazione, specialmente per i gruppi emarginati, poiché incarna un rifiuto di conformarsi. Attraverso queste lenti, possiamo vedere che lo scarafaggio è una specie che chiama visceralmente riflessioni analoghe a quelle esposte da Haraway. Gli scarafaggi sono, sia materialmente che metaforicamente, corpi e presenze mostruose nello spazio antropocentrico delle nostre menti. Sono gli estremi “altri” che occupano spazi e si ribellano, sono l’archetipo della “peste” e dell’indesiderato, dell’incompreso e del marginalizzato. Sono i corpi umani e non umani, le entità e le forze naturali di cui ci siamo serviti per realizzare un progetto di mondo antropocentrico e colonialista. Essi sono anche incredibili manifestazioni del tempo geologico profondo e della storia multispecie attraverso la vita e l’estinzione, incarnazioni di orizzonti postumani. Emergendo dalle crepe, sono profondamente collegati con forze ctoniche e rappresentano una natura vibrante e pulsante che sfugge alla gestione e categorizzazione umana. Nel contesto letterario del discorso femminista, Angela Carter, attraverso le sue avvincenti narrazioni in ‘La camera del sangue’, ridefinisce il femminile mostruoso come una forza emancipatrice. I racconti di Carter reinventano fiabe tradizionali, presentando figure femminili mostruose che sfidano le norme sociali e i ruoli di genere convenzionali. Queste figure diventano agenti di trasformazione e liberazione. Proprio come l’esplorazione letteraria di Carter del mostruoso come forza di sfida contro i vincoli patriarcali, lo scarafaggio emerge come una forza ctonia che sfida il controllo umano. Il mostruoso di Carter trova riscontro nelle qualità sovversive dello scarafaggio, incarnando sia il rifiuto di sottomissione che la forza di nascondersi e emergere dalle crepe per aprire le possibilità di un mondo radicalmente differente. Nella danza tra il mostruoso e il ctonico, si svela una narrazione di liberazione che invitandoci ad abbracciare il potenziale trasformativo dello scarafaggio.
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