Filosofia Postumanista Italia

“Vis-à-vis”: dichiarazione d’intenti.

Benvenuti e benvenute su “vis-à-vis”, il blog gestito da me, Giulia, dottoressa in Filosofia, amante della vita, in ogni sua forma ed espressione.

Perché questo nome? Perché “vis-à-vis” significa “faccia a faccia” ed è di questo tipo di relazioni che il blog si vuole occupare. Ci si chiederà qual è il significato e cosa succede nel momento in cui due paia di occhi si incrociano. Che relazione è questa? Fragile, sfuggente, cosa ci dice sui proprietari di quegli sguardi? E poi, cosa si dicono due sguardi mentre si fissano? Diversi e distanti, eppure sono in gradi di comunicarsi qualcosa anche attraverso il silenzio.

Ma più nello specifico, “vis-à-vis” vuol essere uno spazio di discussione e approfondimento di quelle relazioni che coinvolgono volti dai tratti radicalmente differenti: facce appartenenti ad animali di specie eterogenee, tra le quali l’impossibilità di comunicare linguisticamente sembra tracciare un abisso di incomprensione.

Personalmente sono convinta, sulla scia di Jacques Derrida [2006, pp. 48-51] e John Berger [1980, p. 17], che attualmente noi esseri umani ci concepiamo prevalentemente come ‘osservatori’ del mondo e degli altri esseri viventi, ma che facciamo fatica a riconoscerci anche come ‘osservati’. Ci risulta difficile acquisire e mantenere viva la consapevolezza di essere a nostra volta guardati dagli esseri viventi che ci circondano. Magari sappiamo che il nostro cane ci osserva, ci segue con lo sguardo, ma è un tipo di sapere vago e superficiale, non una consapevolezza così profonda e radicata da essere in grado di influire sul nostro modo di agire e vivere. Solo occasionalmente teniamo davvero in conto lo sguardo animale su di noi, solo di rado ne siamo così profondamente consapevoli da sentire sulla nostra pelle, vivamente, di essere osservati e da plasmare il nostro di agire di conseguenza. Forse ne abbiamo profonda contezza solo nello sfuggente momento in cui incrociamo i loro occhi e questi ultimi ricambiano il nostro sguardo.

Sarà interessante, allora, chiedersi cosa avviene in questo scambio di sguardi. Cosa ci rivela l’occhio vigile che abbiamo davanti, l’occhio che sostiene e ricambia il nostro sguardo? Cosa ci dice del suo proprietario? Ma anche cosa ci dice su di noi: chi siamo per il nostro cane? Che significato abbiamo per l’animale che ci sta di fronte? E, ancora, cosa ci rivela il fatto che agli occhi dell’altro assumiamo un significato che non abbiamo il potere di determinare e scegliere e forse neppure di decifrare?

Ma perché interessarsi a tutto questo e seguirmi? Perché sono convita del potenziale trasformativo di questa consapevolezza. Sono convita che se fossimo più sensibili rispetto a questo, se portassimo sempre con noi la consapevolezza viva di essere osservati dagli altri esseri viventi, allora in primo luogo cambierebbe il nostro modo di concettualizzare i non umani: non più lontani da noi, fuori dalle faccende e dal mondo umani, totalmente estranei; non più macchine, ‘cose’ che si muovono reagendo agli stimoli esterni, ma soggetti autonomi in grado di dirigere liberamente i propri occhi su un mondo che coabitiamo. L’autonoma capacità di osservare dell’altro essere vivente ci dice che egli vive e legge in modo personale e unico la realtà che ci accomuna, che ha su di essa un punto di osservazione irripetibile. Come appare il mondo ai suoi occhi? E se appare diverso, allora cos’è la ‘realtà’? Esiste un modo unico, vero e corretto di osservare il mondo? Quello umano è l’unico modo possibile o il ‘migliore’ di abitarlo?

In secondo luogo, cambierebbe anche il modo di relazionarsi agli altri animali: se ogni essere vivente è uno paio di occhi autonomo che ci guarda e che quindi sta lì da prima che lo osserviamo noi e indipendentemente da noi, allora la sua stessa esistenza è indipendente dall’uomo. Questo significa che ogni essere vivente possiede una vita propria irriducibile ed eccedente ad ogni ‘uso’ umano, ad ogni funzione che egli riveste per l’uomo. Nel suo esserci e vivere indipendentemente da noi, nel suo condurre una vita propria, ogni animale ha una propria identità che eccede ogni categoria funzionale l’uomo gli proietti addosso e che non può essere ridotta a mezzo per la soddisfazione di bisogni umani. Il nostro cane è un figlio per il genitore, un padre o una madre per i suoi piccoli, un pericolo per il gatto del nostro vicino di casa, un compagno di giochi per il cane che incontra tutte le mattine al parco, non solo un nostro pet. Allo stesso modo un maiale è molto di più che non solo carne, un topo che non solo cavia e un elefante che non solo oggetto di interesse in uno zoo.

In terzo luogo, sapersi osservati significa anche tenere in conto il fatto che le nostre azioni sono viste, vissute sulla pelle e interpretate dagli altri esseri: questi ultimi, cioè, non ne sono indifferenti. Le azioni umane hanno un impatto sulle loro esistenze e perciò si caricano di un significato ulteriore rispetto quello che viene loro attribuito dall’uomo. Quando percepiscono, gli esseri viventi attribuiscono significati alle sensazioni, i quali sono legati alla loro personalità, al loro stato emotivo contingente, ai loro bisogni e interessi specifici. Agli occhi di un cane come appare e cosa significa il nostro rientro a casa? E la costruzione di un’autostrada agli occhi del cervo che abita quel territorio?

Tutto questo significa, allora, che agendo l’uomo deve tenere in considerazione l’esperienza che altre vite fanno delle sue azioni: è necessario, cioè, riconsiderare le azioni umane alla luce di occhi, sguardi e significati che umani non sono.

Concludo con una nota metodologica che serve soprattutto a me, come campanellino da tener sempre presente: nell’affrontare i vari temi è necessario tener conto del fatto che la stessa indagine sulla relazione tra due volti non è oggettiva. Essa non è condotta da uno spettatore assoluto, bensì da un essere umano e questo è tanto inevitabile quanto fondamentale da tener presente. Ogni indagine, dunque, soffrirà di limiti, pregiudizi, precomprensioni, categorie che non appartengono al fenomeno in sé, ma a me, Giulia, essere umano che lo indaga. Di certo è un limite, ma imprescindibile e inaggirabile, e che può essere anche un punto di forza e di onestà intellettuale se se ne tiene conto continuativamente.

Con questa breve introduzione e presentazione spero di avervi almeno incuriosito e che sia la curiosità a spingervi a seguirmi in un percorso, questo, che non vuol affatto essere l’esposizione di verità ma una ricerca, un continuo domandarsi, mettersi in discussione, cambiare prospettiva e osservare ciò che si rivela. Cercare di comprendere meglio le relazioni umani-non umani assumendo sempre nuovi e inattesi punti di osservazione e, attraverso questi, cercare di ridefinire le coordinate della concezione e delle azioni che l’essere umano riserva agli altri esseri viventi: questo è lo scopo.

Se cercate verità non le troverete, se cercate risposte definitive non le troverete.

Troverete domande e interrogatavi che agitano e muovono una mente che non si vuole accontentare, una mente che crede solo nel potenziale trasformativo del pensiero.

 

 

RIFERIMENTI:

Derrida Jacques, L’Animal que donc je suis, Galilée, Paris, 2006. Edizione utilizzata: L’animale che dunque sono, a cura di Massimo Zannini, Rusconi, Santarcangelo di Romagna, 2020.

John Berger, About looking, Writers and readers company, London, 1980. Edizione utilizzata: Sul guardare, a cura di Maria Nadotti, Mondandori, Milano, 2003.

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