Abbiamo preso un granchio? ENG below

By Giulia Girodo

4 Settembre 2024

Numero di luglio 2024 del National Geographic. L’articolo “L’alieno è tra noi” scritto da Francesco Martinelli è stato, per me, occasione di riflettere sulla cecità di molte decisioni umane quando si ha a che fare con i problemi di coesistenza con le altre specie animali.

L’articolo, in particolare, è dedicato al granchio blu, specie alinea originaria dell’Oceano Atlantico che a partire dal 2005 ha colonizzato il Mar Mediterraneo e ha trovato un habitat ideale precisamente nel Delta del Po.

Attualmente la specie è considerata ‘aliena’ (o alloctona, esotica, introdotta, non-nativa, non-indigena), termine con cui “si intende una specie trasportata dall’uomo, in maniera volontaria o accidentale, al di fuori della sua area di origine” (https://www.specieinvasive.isprambiente.it/specie-aliene-invasive/cosa-sono).

Non rientra, però, tra le specie aliene definite invasive, che l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) in accordo alle normative europee, definisce come “specie esotica la cui introduzione e diffusione causa impatti negativi alla biodiversità e ai servizi ecosistemici collegati (cioè i servizi che gli ecosistemi assicurano all’uomo come l’acqua e l’aria pulite, il legname o l’impollinazione). Anche se la definizione di specie esotica invasiva si riferisce solo ai danni ambientali, molte specie invasive causano impatti anche sulla salute umana e sull’economia.” (https://www.specieinvasive.isprambiente.it/specie-aliene-invasive/cosa-sono). A livello europeo esiste una legge (Regolamento UE 1143/14) che regola rigidamente i trattamenti riservati a queste specie, con norme relative alla prevenzione, gestione ed eradicazione. A livello nazionale la legge è stata applicata a partire dal 2018, grazie al Decreto Legislativo n.230 del 15 dicembre 2017.

Ciò che è interessante notare è che, secondo queste leggi, le specie aliene invasive non si possono cacciare, vendere e trasportare per ridurne ulteriormente la diffusione. A livello europeo viene costantemente aggiornata una lista di specie considerate aliene invasive “di rilevanza unionale” ossia “i cui effetti negativi sono considerati tali da richiedere un intervento concertato a livello di Unione” (Tricarico et al., p.44 ).

Il granchio blu non rientra ancora tra queste: nel 2023 è stato richiesto il suo inserimento nella lista, ma la procedura è piuttosto lunga, poiché richiede un certo numero di studi per valutare il suo impatto effettivo e se tale impatto sia rilevante su tutto il territorio unionale.

Ci sarebbero tante cose da discutere attorno al caso sollevato da questa specie in Italia, ma per il momento mi limito ad un solo tema: il ricorso alla pesca per arginarne l’espansione.

Sebbene il granchio blu non sia ancora considerato ufficialmente una specie aliena invasiva, di fatto sta dilagando a ritmi incalzanti nel Delta del Po e provocando seri danni. L’articolo di Martinelli si concentra sugli impatti economici di tale presenza massiccia: predando le vongole, danneggiando le reti e il pescato mette sotto scacco le imprese di pesca locali legate all’allevamento della vongola (filippina…). Ma il problema per me più rilevante è il danno alla biodiversità: il granchio blu sta raggiungendo densità di popolazione estremamente elevate, competendo e avendo la meglio sulle specie marine autoctone.

La strategia presa in seria considerazione nell’articolo, ma anche nell’opuscolo divulgativo prodotto da ilgiornaledeimarinai.it (che collabora con Ispra nella raccolta di segnalazioni del Granchio Blu, https://www.isprambiente.gov.it/it/archivio/notizie-e-novita-normative/notizie-ispra/2021/08/il-granchio-blu-alieno-callinectes-sapidus-in-espansione-nel-mediterraneo), e da alcuni già adottata è quella di vedere nel granchio una risorsa economica. Alcuni allevamenti di vongole si stanno riconvertendo in imprese di pesca al granchio blu; si sta cercando di creare una filiera solida e capillare per far arrivare il granchio ai supermercati; alcuni chef lo propongono nei menù sostenendo che sia “un grande punto di forza inserire nel menù specie aliene, per unire alta cucina e consapevolezza ambientale di ciò che si mangia”. (Martinelli, p. 15) “L’obiettivo è stimolare il consumo di granchio in tutti i modi possibili.” (Martinelli, p. 16)

A me questa strategia pare incredibilmente cieca, ma non sono la sola ad essere scettica. “Tra le tecniche gestionali da adottare, molti suggeriscono di promuovere l’uso alimentare di una specie aliena invasiva come metodo di controllo e fonte di reddito (http://eattheinvaders.org/). Tuttavia, questa pratica può rivelarsi in realtà controproducente: la specie aliena invasiva può entrare nella cultura popolare a tal punto che la cittadinanza non vuole più eliminarla, anzi ne può incentivare la presenza. È bene, quindi, stare attenti ad un utilizzo indiscriminato in questo senso per evitare di creare problemi maggiori” (Tricarico et al., p. 43).

La massiccia presenza del granchio blu è un problema, certo, e la sua popolazione va controllata se non si vuole rischiare la totale degradazione degli habitat e un appiattimento della biodiversità marina locale. Ora, però, ricorrere a imprese o realtà che hanno ritorni economici dal granchio mi sembra un ragionamento estremamente miope e assolutamente non lungimirante. Chiunque possa trarre da questa specie un guadagno, benchè possa essere mossa intimamente dalla volontà di fare un servizio alla natura eradicando la specie, finirà con il volerne la presenza in mare proprio perchè su di essa si basa il suo profitto. Una volta pescati tutti i granchi (diamolo per possibile) cosa pensate facciano questi pescatori? Si riconvertiranno alla vongola, nel frattempo sparita? O pensate che ci sia la possibilità che inizino ad allevare il granchio per potersi garantire una base economica costante?

Se il mondo economico fosse guidato dall’etica, forse e solo forse, potrei pensare che usare attività economiche che lucrano su un problema per eliminare il problema stesso sia un modo efficace. Ma se l’obiettivo è la riduzione e, idealmente, la scomparsa di una specie, come è possibile pensare di ricorrere a coloro che guadagnano sulla presenza del granchio?

Si potrebbe pensare che più ne mangiamo meglio è: così, di fatto, li togliamo dal mare! E così si apre la corsa ai piatti a base di granchio… e pensate che ad un certo punto il ristorate, e di conseguenza il suo fornitore e di conseguenza il pescatore, diranno ai clienti “ah non ce n’è più, li abbiamo mangiati tutti!”? O forse troveranno un modo per assicurare la soddisfazione del cliente? Quando la domanda aumenta, l’offerta le sta dietro.

Dovremmo impegnarci a pensare più sul lungo termine: le relazioni ecologiche vivono di rapporti sottili, necessari ma fragili, che hanno impiegato tempo a consolidarsi e che sono sempre in movimento, in continuo aggiustamento. Dovremmo allenarci a percepire le nostre azioni come inserite in questo flusso dinamico: forse, così, potremmo smetterla di pensare ad azioni puntuali e immediate per far fronte ad un problema senza considerarne gli effetti di lunga durata e ad ampio raggio.

 

 

BIBLIOGRAFIA E SITI DI RIFERIMENTO:

Martinelli Francesco, L’alieno è tra noi, in “National Geographic Italia”, luglio 2024, vol. 54, n°1, Milano, pp. 2-23.

Tricarico E, Lazzaro L, Giunti M, Bartolini F, Inghilesi AF, Brundu G, Cogoni A, Iiriti G, Loi MC, Marignani M, Caddeo A, Carnevali L, Genovesi P, Carotenuto L, Monaco A , Le specie aliene invasive: come gestirle. Guida tecnica per professionisti, 2019.

Guadagno Marcello, Granchio Blu, in “Il Giornale dei marinai”, agosto 2021.

https://www.specieinvasive.isprambiente.it/

https://www.lifeasap.eu/index.php/it/

https://www.isprambiente.gov.it/it/archivio/notizie-e-novita-normative/notizie-ispra/2021/08/il-granchio-blu-alieno-callinectes-sapidus-in-espansione-nel-mediterraneo

 

ENGLISH VERSION

All the quotes were in Italian and the traductions are mine.

In the volume of July 2024 of National Geographic Italia I read the article “L’alieno è tra noi” (“The alien is among us”) written by Francesco Martinelli. It gave me the opportunity to reflect on the blindness of some human decision when dealing with coexistance with other species. In particular, this article is dedicated to the Blue Crab, a species native of the Atlantic Ocean that since 2005 has colonized the Mediterranean Sea and found an ideal habitat in the Po Delta, in Italy.

At the moment in the UE this specie is considered “alien”, that is “a specie which has been transported by men, either intentionally or accidentally, outside its area of origin”.

However, it is not considered an invasive alien specie that ISPRA (the Italian Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) according to EU regulations defines as “exotic specie whose introduction and spread have negative impacts on biodiversity and related ecosystem services (i.e., the services that ecosystems provide to humans such as clean water and air, timber or pollination). Although the definition of invasive alien species refers only to environmental damage, many invasive species also have impacts on human health and the economy.” The European Union has a law, the Regulation 1143/14, that establishes rigid measure of treatment, prevention, control and eradication of invasive alien species. At the Italian national level this law has been applied since 2018, thanks to the “Decreto legislativo n° 230” 15 th december 2017.

Is interesting to note that, according to those laws, invasive alien species can’t be hunted, sold or transported in order to avoid further spread. At EU level there is a constantly updated list of species considered invasive alien “of Union concern”, that is “whose adverse effects are considered to require concerted action at Union level” (Tricarico et al., p.44 ).

The Blue Crab is not in this EU list: it was requested to be listed in 2023, but the procedure is quite lengthy as it requires a number of studies to assess its actual impact and whether this impact is relevant across the whole EU.

There will be many things to discuss around the “Blue Crab case in Italy”, but for now I limit this article to only one topic: the use of fishing to stem its expansion.

Even if the Blue Crab is not officially considered an invasive alien specie, it is a fact that it is spreading rapidly in the Po Delta and causing serious damages. Martinelli’s article is focused on the economic impact of this massive presence: preying on clams, damaging nets and catch, it puts the strain on local fishing enterprises linked to the breeding of the clam (Filipino clam…). But the most relevant problem for me is the damage to biodiversity: the Blue Crab is reaching extremely high population densities, competing and getting the better over native marine species.

The mentioned article (but also the informative brochure produced by the Italian newspaper il giornaledeimarinai.it, that collaborate with ISPRA in the collection of blue crab reports) take in serious consideration the strategy derived from seeing in the Blue Crab an economic resource. This strategy is not only been suggested, but also already put into practice: some clam farms are being converted into Blue Crab fishing companies; a solid and capillary chain to get the crab to supermarkets is going to be created; some chefs propose the Blue Crab in the menus claiming that it is “a great strength to insert in the menu alien species, to combine high cuisine and environmental awareness of what we eat”. (Martinelli, p. 15) “The aim is to stimulate crab consumption in all possible ways.” (Martinelli, p. 16).

To me this strategy seems incredibly blind, but I’m not the only one who is skeptical. “Among the management techniques to be adopted, many suggest promoting the food use of an invasive alien specie as a control method and a source of income (http://eattheinvaders.org/). However, this practice can be actually counterproductive: the invasive alien specie can enter popular culture to such an extent that the citizen does not want to eliminate it anymore, but rather can encourage its presence. It is therefore appropriate to be careful of indiscriminate use in this sense, so as not to create major problems” (Tricarico et al., p. 43).

The presence of the Blue Crab is a problem, of course, and its populations have to be controlled if we don’t want to risk the total habitat degradation and a flattening of local marine biodiversity. But making use of companies that have economic returns from the crab seems to me an extremely short-sighted reasoning. Anyone who can profit from this specie, although it may be moved intimately by the will to do a service to nature by eradicating it, will end up wanting its presence precisely because its profit are based on it. Once you have caught all the crabs (suppose it’s possible) what do you think these fishermen do? Will they re-convert to the clam, meanwhile disappeared? Or do you think there is a chance that they will start breeding crab in order to ensure a constant economic base?

If the economy was driven by ethics, perhaps and only perhaps, I might think that using economic activities that profit from a problem in order to eliminate the problem itself could be an effective way. But if the objective is to reduce and, ideally, eliminate a specie, how can we think of using those who make money from the crab?

One might think that the more we eat the crab, the better it is: by doing so, we actually get them out of the sea! And so the race opens to crab dishes… and do you think that at some point the restaurants, and therefore its supplier and consequently the fisherman, will say to customers “ah there is no more, we have eaten them all!”? Or will they find a way to ensure customer satisfaction? When demand increases, supply follows.

We should try to think more in the long term: ecological relationships live of thin, necessary and fragile relationships that have taken time to consolidate and are still in motion, in continuous adjustment. We should train ourselves to perceive our actions as inserted in this dynamic flow: perhaps, then, we could stop thinking of punctual and immediate actions to face a problem without considering its long-term and wide-ranging effects.

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