“Ogni amico è un tesoro” è il titolo del testo di Josef Reichholf, zoologo, biologo ed ecologo tedesco, edito per la prima volta nel 2017 e pubblicato in Italia da Aboca nel 2022.
Se volete farvi affascinare, stupire e conoscere qualcosa in più del mondo ricco e sorprendente in cui viviamo, non potete non addentrarvi nelle sue pagine. Con una scrittura scorrevole e accessibile Reichholf ci accompagna nel mondo delle simbiosi, raccontando trenta casi di convivenza intraspecifica esistenti in natura.
Con il termine ‘simbiosi’ l’autore non intende solo i casi di stretta interazione biologica, come il classico esempio del lichene (cui, comunque, dedica un capitolo), bensì ogni relazione di reciproca utilità e vantaggio instauratasi tra forme di vita differenti.
Una simbiosi è una convivenza che apporta vantaggi a tutte le parti coinvolte: attenzione, però, a credere che tali vantaggi siano paritari ed equamente distribuiti. Essendo coinvolti organismi differenti, i benefici che essi traggono dalla relazione sono ‘personali’, relativi ai bisogni e necessità di ciascuno e quindi non facilmente paragonabili. Non è possibile trovare un’unità di misura comune in grado di quantificare i vantaggi per distribuirli equamente. Ciò che noi esseri umani potremmo giudicare un ‘piccolo’ vantaggio per una forma di vita potrebbe invece essere essere di estrema importanza dal suo punto di vista. Ciò che intendo dire, insomma, è che le simbiosi non devono essere necessariamente relazioni di simmetrica reciprocità e pari vantaggi: organismi diversi possono convivere pacificamente e scambiarsi benefici anche là dove per uno dei due il guadagno pare minimo.
La simbiosi è un legame che può essere più o meno stretto, in cui gli organismi possono raggiungere livelli di dipendenza reciproca più o meno marcati. Così accanto al caso dei licheni, un’interazione strettissima tra fungo e alga, c’è la simbiosi che unisce le bufaghe agli erbivori della savana, o l’oca al capriolo, caso, quest’ultimo, in cui il rapporto è maggiormente circostanziale e i protagonisti rimangono largamente indipendenti gli uni dagli altri.
Le simbiosi, casi di convivenza cooperativa tra forme di vita, sono più all’ordine del giorno di quanto immaginiamo e sono testimonianza del fatto che in natura tutto è connesso, nessuno è un’isola, ognuno dipende da ciò che lo circonda e viceversa.
Il punto su cui il testo mi ha fatto più riflettere, però, è un elemento non espresso direttamente da Reichhof ma che corre sottotraccia all’intero volume e di cui ogni ogni esempio è eco: la fragilità. Le relazioni simbiotiche, ogni rapporto vitale tra organismi con differenti obiettivi, bisogni, interessi e visioni del mondo è intrinsecamente fragile.
In primo luogo, come abbiamo visto, la simbiosi è un rapporto di reciproco vantaggio: essa sussiste finchè il bilancio tra vantaggi e svantaggi, tra i guadagni derivanti dalla relazione con l’altro e la fatica e tensione nel mantenerla, va a favore dei primi. Questo bilancio è una contrattazione continua, che si dà lungo il tempo, all’interno di una relazione non retta da codici o leggi, ma autoregolata. Basta poco perchè la relazione si spezzi e un attore decida che non vale più la pena fare sacrifici per mantenerla in vita. La simbiosi è sempre instabile, delicata proprio perchè autoregolata.
In secondo luogo, essa è fragile anche perchè basta poco a farla sfociare nel parassitismo e nello sfruttamento. Il lupo potrebbe mangiare l’intera preda trovata morta tra la neve, scovata grazie al richiamo dei corvi, senza lasciare nessuna parte a quest’ultimi; potrebbe sfruttare il loro gracchiare e saziarsi più del sufficiente, egoisticamente. Il rapporto diventerebbe di vantaggio unilaterale a spese dell’altro: appunto, una forma di parassitismo. È l’autolimitazione del lupo, la sua capacità di saziarsi quanto basta e lasciare il resto a coloro che lo hanno condotto lì, a far sì che questa relazione perduri e funzioni, apportando vantaggi reciproci (capitolo 5).
Queste fragilità ne rivelano un’altra: ogni simbiosi funziona e perdura in un ambiente e in un contesto determinati. Solo in specifiche condizioni ecologiche una determinata forma di convivenza può sussistere e funzionare nel tempo. Questo significa che basta un minimo cambiamento ambientale per stravolgerla, ridefinirne i termini o renderla inutile e farla venir meno. Per esempio, la cooperazione tra oche e caprioli si è consolidata solo negli ultimi secoli, per via della caccia praticata dagli uomini con armi a lungo raggio. Per fronteggiare questa novità, le due specie hanno imparato a fare affidamento sui rispettivi segnali d’allarme: le oche contano su udito e olfatto dei caprioli, questi ultimi sulla vista delle prime per avvertirsi reciprocamente di un pericolo imminente (capitolo 2). Il venir meno della caccia potrebbe far venir meno la collaborazione tra oche e caprioli, così come potrebbe essere bastata l’estinzione dei Dodo a provocare la progressiva estinzione della pianta che si affidava a questa specie di uccello per spargere i suoi semi e riprodursi (capitolo 9). Ogni minimo cambiamento nelle condizioni ambientali, insomma, può apportare novità per fronteggiare le quali gli organismi potrebbero necessitare di certi tipi di rapporti mentre altri potrebbero risultare ormai inutili.
Ogni rapporto cooperativo, dunque, nasce e ha senso in un contesto e quindi non è ‘assoluto’, non esiste da sempre e per sempre e non è sempre e comunque vantaggioso. Ogni relazione tra organismi è frutto di un lento adattamento reciproco avvenuto lungo tempo in risposta a certe sfide ambientali e a certi contesti. Ogni simbiosi parla di un dialogo tra organismi diversi che si sono sintonizzati, adattati l’uno alle esigenze dell’altro e viceversa, sfruttando l’uno le abilità e i punti di forza che l’altro mette a disposizione per fronteggiare le stesse pressioni ambientali. Ogni rapporto cooperativo è fragile, instabile, provvisorio e dipendente dal contesto.
Reichholf conclude il suo testo chiedendosi se il rapporto che l’uomo intrattiene con la natura e le forme di vita intorno a lui sia un caso di simbiosi. Esistono vantaggi reciproci o l’essere umano è più un parassita per la natura? Lascio a voi la curiosità di leggerne le argomentazioni e la volontà di riflettere su questa domanda.
Oltre alla relazione uomo-natura, ciò su cui questo testo mi ha fatto più riflettere (e con cui vorrei concludere questo articolo) è il ruolo dell’essere umano in quanto ‘terzo’ rispetto alle relazioni simbiotiche esistenti. Quanto le nostre azioni impattano sulle relazioni sussistenti tra forme di vista? Quanto interferiamo in esse? Nella nostra quotidianità tale interferenza è per lo più indiretta: non ci immergiamo nelle barriere coralline a impedire ai pesci pagliaccio di ripararsi nelle anemoni. L’interferenza non è diretta e perciò è più difficile da scorgere, comprendere e averne consapevolezza. Le azioni umane, però, hanno un grandissimo impatto sulla terra. Pensiamo alla deforestazione, all’inquinamento di acque, suolo e aria, ad allevamento e agricoltura intensivi, alla crescita dei centri urbani a discapito delle campagne e delle zone incolte: tutte azioni che modificano radicalmente e profondamente l’ambiente e con lui le condizioni di vita degli organismi che ci vivono. Abbiamo parlato della fragilità delle relazioni simbiotiche, del loro essere dipendenti dal contesto, dal loro sussistere solo in determinate condizioni: con le nostre azioni siamo stati (e ancora lo siamo) in grado di stravolgere queste condizioni e quindi di impattare anche sui rapporti vitali esistenti. Chissà quante specie animali e vegetali a noi sconosciute si sono già estinte a causa nostra, da aggiungere a quelle di cui già sappiamo aver causato l’estinzione. Chissà quanti legami vitali abbiamo interrotto. E non possiamo far nulla per riparare: quel che è stato è stato, quel che è mutato lo è per sempre, non si ripropongono due volte allo stesso modo identiche condizioni e quindi relazioni.
Nuove circostanze, però, portano con sé nuove relazioni. Se quello che imponiamo al mondo è un semplice cambiamento allora vecchi rapporti verranno rivisti e nuovi si stabiliranno, dov’è il problema? Perchè dovrebbe essere un ‘male’ questo cambiamento? Dopotutto, non è ciò che succede naturalmente nel corso del tempo con l’evoluzione? La si potrebbe pensare così solo a patto di due considerazioni: in primo luogo, che l’impatto antropico sul mondo crei nuove condizioni vivibili e abitabili. Il che non è scontato. In secondo luogo, a patto che non ci curiamo dei singoli individui danneggiati dai cambiamenti. Se ogni esistenza ha lo stesso valore non possiamo giustificare la distruzione di questa e delle sue relazioni in nome di una futura vita che verrà e beneficerà del cambiamento.
Mi piace, però, pensare che ogni giorno è una novità, che in ogni giorno ciascuno di noi agisce e compie delle scelte. Nolenti o volenti abbiamo un impatto ma ci è data la possibilità, giorno dopo giorno, di scegliere come vivere, quali gesti compiere, come condurre la nostra esistenza. Abbiamo la possibilità di scegliere di conoscere la natura e le sue relazioni e di rispettarle attraverso azioni quotidiane sostenibili e compatibili. Possiamo scegliere se vivere da parassiti o intessere relazioni simbiotiche con le forme di vita con cui condividiamo il pianeta. Possiamo scegliere di vivere con la consapevolezza di essere parte di un tessuto vivente di cui non siamo proprietari, ma solo parti prese in mezzo.