Il fenomeno del Postumanesimo si rintraccia anche ricorrendo alla Letteratura di Fabbrica; essa si propone di indagare la condizione esistenziale dell’uomo all’interno della fabbrica, che esiste nella sua consistenza di meccanismo produttivo. Un esempio fondamentale è Il Senatore di Giancarlo Buzzi, perché racconta di Tullio Masi, un uomo che non ha mai conosciuto il padrone della fabbrica per cui è stato assunto, vivendo in uno stato di alienazione che porta il lettore a leggere il testo seguendo lo schema del kafkismo sociologico di Italo Calvino. la «ricerca dell’uomo inafferrabile» spinge il protagonista al dialogo con i fantasmi, per cercare un contatto umano.

Buzzi ci descrive la fabbrica come un luogo in cui non è permesso lamentarsi e questo porta l’uomo a cercare una «realtà altra» che crede vera; l’alienazione del protagonista è simile a quella descritta da Edgar Allan Poe nell’Uomo della folla, ovvero colui che cerca continuamente il contatto con gli altri perché non sopporta la solitudine e si emoziona a vedere la fiumana di gente che popola la sua città. Allo stesso modo, il protagonista del Senatore fa parte di un agglomerato che è la fabbrica, ma non se ne sente parte perché non intrattiene rapporti umani. Un episodio del romanzo racconta di una vacanza di Masi nei villaggi marini, fatta con lo scopo di far notare la sua assenza al padrone non sul piano lavorativo, quanto su quello umano. Tuttavia la sua assenza passa quasi del tutto inosservata e assistiamo al doloroso distacco dalla realtà sociale e umana e il primo indiziato nel processo di disumanizzazione è il vecchio Senatore che vuole creare una nuova umanità, quella tecnologico-industriale e rappresenta l’unico contatto umano di Tullio nella fabbrica: il termine “umano” è paradossale proprio perché il Senatore è un fantasma e quindi inesistente.

La disumanizzazione dovuta alla fabbrica è descritta anche da Paolo Volponi in Memoriale, che racconta di Albino Saluggia, un operaio scampato alla Seconda Guerra Mondiale, la cui avventura in fabbrica si trasformerà in una forma di disavventura e disagio che lo porterà alla paura del lavoro meccanico. Saluggia, nel corso del romanzo, arriverà ad assimilare i congegni della macchina a degli esseri umani: il sogno di Albino di umanizzare le macchine e soprattutto la sua utopia di fabbrica notturna (Saluggia fa visita alle macchine durante la notte) fa sì che il libro di Volponi manifesti tensioni lirico-trasfigurative. Ricorrendo al nome di Giuseppe Lupo, e più precisamente al suo saggio La letteratura al tempo di Adriano Olivetti, è possibile constatare che Volponi utilizza l’icona della fabbrica di vetro, in cui si può inserire il topos della visita notturna. La negazione dell’identità fra soggetto e oggetto prelude alla constatazione della solitudine, percepibile in quel «tutti uguali», causata dall’alienazione della vita di fabbrica che, invece di portare le macchine a umanizzarsi sta ottenendo l’effetto contrario.

Un ultimo ma significativo esempio di Postumanesimo dovuto alla fabbrica è offerto da Vogliamo tutto di Nanni Balestrini che rappresenta il rifiuto della grande fabbrica e del modello di sviluppo capitalistico, che il protagonista manifesta dapprima in maniera istintiva e poi via via in modo sempre più consapevole: secondo lo stesso Balestrini è proprio questa la principale caratteristica del comportamento politico della nuova figura dell’operaio-massa. Il protagonista si rende subito conto che il lavoro è sfruttamento dell’uomo, assoggettato alla dinamica produttiva. Balestrini esordisce dicendo che «per una nuova dignità umana bisognava produrre»: il lavoro e la produzione sono il punto centrale del libro e l’autore ha come intento quello di far risaltare i diritti dei lavoratori soprattutto in quanto uomini. Complice del linguaggio, Balestrini, descrive perfettamente la sensazione di automazione dettata dalla catena di montaggio che si crea nel lavoro di fabbrica in cui sembra quasi che il protagonista stia raccontando una scena che vive qualcun altro. Una delle conseguenze della massificazione è la presa di coscienza della nevrosi, dovuta alla maniera sistematica e meccanica di “catalogare” ogni operaio, come se fosse un oggetto su cui si sta facendo l’inventario e non una persona in carne ed ossa: il protagonista di Vogliamo tutto non è privo di un nome, ma all’interno del romanzo il suo nome e quello di altri personaggi non vengono praticamente mai citati e questo è un altro sentore del processo di disumanizzazione che si sta mettendo in atto. Una volta entrati a contatto con la fabbrica, gli uomini diventano operai e, nella visione dell’autore, non vengono più visti come uomini ma come una categoria, una «razza».

Il protagonista non riesce ad accettare che l’operaio sia considerato un essere diverso dall’uomo, dal cittadino a tutti gli effetti che può decidere della sua vita e l’icastico «vogliamo tutto» rappresenta proprio questo grido di ribellione. Nanni Balestrini, dietro l’ironia graffiante del protagonista, racconta la sofferenza dell’operaio, costretto a giornate meccaniche e alienanti e perennemente escluso dalla “categoria degli esseri umani”.

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