Nel corso dei secoli, la figura del personaggio cambia radicalmente, come scrive Giacomo Debenedetti nel suo saggio Il personaggio-uomo: a causa della crisi novecentesca, il personaggio a tutto tondo viene sostituito dal personaggio-particella, una figura carnevalesca scomposta. Il riferimento al Carnevale non è casuale, ma vuole rappresentare una delle tante sfaccettature della perdita d’identità umana.
Giorgio Manganelli nel 1977 pubblica il testo Pinocchio: un libro parallelo, definito un “libro nel libro”: Pinocchio è un personaggio carnevalesco, in quanto racchiude tre identità, una delle quali è il burattino, figura che richiama la cenere e la distruzione; nel libro di Manganelli, Pinocchio ha scelto la morte, in modo tale da rinascere umano. Pinocchio come burattino tra i burattini si può ricollegare all’opera Eva ultima di Massimo Bontempelli, che mette in luce la teoria dell’uomo-marionetta che riguarda il comune destino dei viventi. La protagonista Eva, grazie alla conoscenza della marionetta Bululù creata a immagine e somiglianza dell’uomo, si accorge che lei stessa è legata ai fili. Eva ha toccato con mano che nessun uomo è libero e che tutti siamo in balia di un destino burattinaio, anche chi non ne ha ancora la consapevolezza.
Questo destino burattinaio è uno dei primi passi verso la disumanizzazione, rappresentata anche dalla perdita della parola. La letteratura di Italo Calvino è emblematica per questa riflessione, soprattutto il suo romanzo combinatorio Il castello dei destini incrociati, nel quale l’autore introduce una cornice narrativa in cui i personaggi hanno perso la capacità di parola e per comunicare utilizzano le carte di tarocchi. Calvino è stato un grande scrittore carnevalesco, proprio perché la sua riflessione si concentra sul fatto che «il mondo si legge all’incontrario», come leggiamo nella Storia dell’Orlando pazzo per amore.
L’autore elegge la città come simbolo del proprio immaginario creativo, prendendo i considerazione Elio Vittorini e le sue Città del mondo, la cui copertina presenta la Torre di Giorgio De Chirico come utopia incarnata dalla dimensione verticale. Se Vittorini auspicava alla trasformazione dell’apocalisse in utopia, Calvino vede solamente i presagi della catastrofe a cui la società sta andando incontro.
Jean Pierre Jelmini, nella sua Premessa al volume Androidi. Le meraviglie meccaniche dei celebri Jacquet-Droz, parla di una parete di bambini meccanici a Rue de Richelieu: la questione sulla quale è utile soffermarsi è la sua affermazione «gli Androidi sono rimasti degli automi e hanno bisogno degli uomini». L’opinione di Jelmini è totalmente in contrasto con quella di Calvino, che raggiunge il culmine della sua riflessione nel Castello, attraverso la carta dell’Eremita, il quale afferma che «Per l’uomo che credeva d’esser Uomo non c’è più riscatto»: gli oggetti sono diventati idoli tirannici, a cui l’uomo è assoggettato.
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